Sanremo affonda (il coltello).

Sanremo affonda (il coltello).

Chissà perché i conti in tasca al festival Baglioni non li fa nessuno…

 La matematica non è un’opinione. 10 big + 4 nuove proposte x (4 minuti di canzone + 1 minuto di presentazione) fanno 70 minuti. Il resto non è festival: è contorno. E’ come se al ristorante ordinassi fritto misto e ti servissero un’aola persa in un mare di patatine. Un controsenso, anche se i camerieri fossero due ometti piacenti, la cassiera un’impeccabile svizzera e al tavolo a fianco fossero super ospiti Carlo e Camilla. Le patatine si mangiano anche da sole: Sanremo sarebbe Sanremo se fosse fatto solo di ospiti e tributi? Eppure mentre i cantanti in gara sono tutto sommato “autogestiti”, gli ospiti si pagano… e tanto. Ma chissà perché i conti in tasca al festival Baglioni non li fa nessuno.

Ciò ribadito eccoci alla gara.

Il girone nuove proposte propone un quadro ampiamente atteso visto che le canzoni sono edite da mesi, desolatamente povero. Anche il testo politico e ispirato di Mircoeilcane non decolla. E’ la maledizione dell’epoca post talent: sono tutti tecnicamente bravi e preparati, ma nient’altro.

Con il secondo ascolto è possibile qualche affondo più mirato sui brani dei big. L’unica cosa che merita attenzione delle Vibrazioni si direbbero le gambe nude del bassista: Baudo ne avrebbe fatto argomento cult. Nina Zilli, bella e brava come sempre, presenta un brano difficile, forse da immaginare con altri arrangiamenti. Bella la combinazione Diodato – Roy Paci. Elio e le Storie Tese sarebbe stato meglio continuare a ricordarli com’erano. Ottima prova per Ornella Vanoni che fa l’amore col tempo su un pezzo non facile. Red Canzian, più l’ascolto, più mi pare il migliore dei Pooh, quanto meno quello col progetto più credibile. Ron è perfetto nel ruolo, anche perché non si è mai capito bene dove finiva lui e dove cominciava Dalla. Renzo Rubino, a cui auguriamo camicie migliori, tenta il rilancio di un album passato inosservato; lo fa con un pezzo coerente col medesimo. Annalisa non è genere nostro, ma bisogna riconoscerle di aver fatto, nel suo settore musicale, tutto quello che si doveva per raggiungere l’obiettivo di vendere. Dei Decibel posso dire solo bene: Enrico Ruggeri è il cantante preferito di Daniela Pezzoni e il pezzo è dedicato al Duca Bianco, il mito delle origini di Cesare Casalini. I rischi di ammutinamento interni a Radio Voce Camuna sono troppo elevati per agire altrimenti.

Un commento sulla polemica Meta – Moro: gli Avion Travel vinsero il festival con un brano la cui base era stata pubblicata, come brano strumentale, nel loro album dell’anno prima.

Sanremo: cambiano gli attori ma la minestra è sempre quella.

Sanremo: cambiano gli attori ma la minestra è sempre quella.

Al centro c’è la cornice, il festival è sempre più una scusa per altro.

 Il Festival 2018, presentato dalla Hunziker accompagnata da una valletta mora e una bianca, inizia con una a dir poco orrenda sigla d’apertura, devastata da inquietanti immagini segnaletiche dei cantanti. La pippata di un Rosario quasi Elio “scalda pubblico” è pessimo prologo al monologo di Baglioni, melassa così densa e farcita di retorica che nemmeno Renato Zero sarebbe riuscito pari. E poi diciamocelo francamente: uno non può presentarsi affermando che ha deciso di riportare al centro la musica e poi dopo tre quarti d’ora di festival non s’è ancora sentita una canzone e alle 21,50 si è già all’intermezzo con l’ospite.

La proposta musicale si direbbe confermare le impressioni ricevute al momento della presentazione dello staff. Non un festival al servizio della musica ma, come tradizione vuole, un festival al servizio dell’industria discografica, articolato per compartimenti, più che per generi; dentro e fuori la gara. Prodotti da svendere nei palinsesti delle radio commerciali, passaggi croce rossa a salvataggio di album passati sotto silenzio, partecipazioni ‘tributo’ buone nelle intenzioni più che nei risultati, gente che passa alla cassa a ritirare il guadagnato degli anni precedenti, qualche pezzo ruffiano, scritto più per calcolo che per ispirazione, farcito di retorica, gente che senza rendersene conto si sta trasformando in animale da Sanremo. Rare le eccezioni, come i casi di Vanoni, Barbarossa e Biondi, più alieni di Mina.

Grosso modo la formula di Baudo, appesantita da una selezione più colta e meno immediata. Anche perché il Pippo nazional popolare, che presentava due di tutto in modo da portare in finale almeno uno di ogni cosa, aveva dalla sua la scaltrezza della polemica pilotata: al festival devono esserci il cane da criticare, le primedonne che daranno spettacolo graffiandosi la faccia, la bella voce che accontenta i nostalgici, il trasgressivo socialmente non pericoloso, che poi magari funziona e puoi dire che “questo l’ho scoperto io”. Da quanto si è visto quest’anno si punta ancora sul contorno. Considerata l’età media dei partecipanti, la perfezione sarebbe stata una proposta senza ospiti e con la conduzione affidata a Paolo Limiti.

PS: qualcuno dica alla RAI che la gente normale durante la settimana lavora, non può tirare l’una a guardare Sanremo e alle 5 essere operativa.

Jovanotti Oh, vita (CD 2017)

Jovanotti Oh, vita (CD 2017)

Potranno fare gli indifferenti fin che vogliono ma i denigratori ad oltranza, il cultori del cantautorato impegnato italiano post sessantottino, gli affamati di canzone sociale ed intimistica, in questo CD vedranno concretizzarsi il peggiore dei loro incubi: Jovanotti è diventato grande.

 Diventare grandi spesso significa dover costruire torri di compromessi ed in questo lavoro i compromessi non mancano, a cominciare dal brano di apertura, primo singolo, quello che da il titolo all’album, che sembra essere stato scritto a tavolino e confezionato apposta per tranquillizzare i delatori. Ascoltandolo infatti pensi “il solito ragazzone che con quattro rime buoniste spreme il mercato del pop conciliandolo col rap”. L’album, in realtà, è tutta un’altra cosa. Certo, non mancano canzoni più “jovanottiane” infilate qui e là (leggi “In Italia”, “Le canzoni”, “Sbam!”, “Fame”, per certi versi anche “Viva la libertà”) per accontentare quanti vogliono, pregiudizialmente, il Jovanotti di una volta, quello che nei concerti “tutto salta” e fa ballare.

Ma il reale cuore dell’album è da cercare altrove e si badi bene: non nelle ballate ruffiane che negli anni scorsi hanno fatto da punta di diamante della produzione di Lorenzo. Anche qui il tentativo di infilarne qualcuna c’è (“Chiaro di luna”, “Paura di niente”), ma resta meno ispirato che in passato.

Dov’è allora che Jovanotti è diventato Lorenzo? In una serie d’altri pezzi infilati con estrema disinvoltura qui e là, quasi per caso, ma assolutamente spiazzanti. “Affermativo” fosse stata in un disco di Fabrizio De Andrè  avrebbe fatto gridare al miracolo. La jazzata “Amoremio”, buttata lì come brano cuscinetto, è in realtà la naturale evoluzione del cantautorato romantico anni ’60. Ed ancora “Quello che intendevi”, in cui il rap si fa recitativo, che con la sua carrellata di ritratti umani porta alla mente alcune suggestioni pasoliniane che ritroviamo in “Ragazzini per strada”. Notevole “Navigare” nella cui struttura melodica riecheggiano le atmosfere di ispirazione francese che tanto influirono sulla musica colta italiana del recente passato, e qui i riferimenti, oltre a De Andrè, si fanno Endrigo, Paoli, Tenco. Echi che, cambiando i le fonti di ispirazione e facendole decisamente più “americane” tornano in “Sbagliato”.

Assolutamente sapore di già sentito, di lezione già insegnata, per certi versi, diranno i cattivi, di copiato. Ma è un copiato fatto alla grande, un compito in classe da voto molto alto, perché alla conoscenza si vede accostata una competenza che è assolutamente personale. I temi dei testi infatti sono assolutamente attuali, sociali, politici (nel senso originario del termine), affrontati non per partito preso, o per amor di moda, ma attraverso una sensibilità personale e matura, che guarda, nell’evento, alla persona.

Insomma: il Jovanotto è diventato un uomo. 

SITO UFFICIALE: http://jova.tv/channels/music

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Giacomo Salvadori

Giacomo Salvadori

Appassionato di montagna, fondatore della “Maratona del cielo”

Giacomo Salvadori nasce nel 1938 a Santìcolo di Corteno (Bs). A quindici anni si trasferisce a Brescia con la famiglia, studia presso l’Istituto tec­nico “Francesco Lana”. Lavora poi all’IVECO per trent’anni, ciò che non gli impedisce di sviluppa­re la sua passione per la montagna e gli sport di montagna.

Dopo la pensione, concretizza in poco tempo il suo triplice sogno: il Sentiero 4 Luglio, il Bivacco Da­vide e la Maratona del Cielo, contribuendo con­cretamente alla nascita del fenomeno skyrunning, meritando la cittadinanza onoraria di Corteno Golgi nel 2006.

Ha al suo attivo la pubblicazione del libro autobio­grafico Il profumo delle mele cotogne, pubblica­to nel 2008. Nel 2003, in occasione del decennale della skymarathon, ha editato il volume Sentiero 4 Luglio.

(dalla copertina di “Lassù tra sogno e realtà”)

LIBRI:

Lassù tra sogno e realtà: recensione “Una maratona alpina lunga una vita”

Antonio Stefanini

Antonio Stefanini

Giornalista, fotografo, storico e scrittore. 

Antonio Stefanini nasce a Pisogneto di Corteno (BS) nel 1952 da famiglia contadina. Dopo il diplo­ma di geometra, studia per un paio d’anni lingue e letterature straniere, indi inizia a collaborare alla gestione della nuova attività alberghiera di famiglia, che lo vede impegnato ancora oggi.

Appassionato di ricerche culturali locali, ha al suo attivo una decina di libri di carattere etno-storio­grafico.

Giornalista pubblicista dalla metà degli anni ‘90, ha svolto mansioni di addetto stampa per enti locali, oltre che per la stessa Maratona del Cielo.

Ha collaborato e collabora con diverse testate pe­riodiche.

(dalla copertina di “Lassù tra sogno e realtà”)

PAGINA FACEBOOK: https://www.facebook.com/antonio.stefanini?fref=ts 

RIFERIMENTI INTERNI:

Recensione Una maratona alpina lunga una vita