da Daniela Pezzoni | 27 Feb 2019 | sCAT Dischi & Cd
Sono passati cinquant’ anni da che Nada Malanima da Gabbro, in provincia di Livorno, è sulla scena. Aveva solo quindici anni quando presentò al festival di Sanremo “Ma che freddo fa” era il 1969. Due anni più tardi, addirittura lo vinse con il brano “Il cuore è uno zingaro”.
Alla produzione di questo suo nuovo album figura John Parish, cantautore inglese noto, tra le altre cose, per avere collaborato con PJ Harvey .Non è la prima volta che i due lavorano insieme, era già successo con “Tutto l’amore che mi manca”. del 2004.
Una donna Nada che si fa spazio in mezzo a tanti giovani, anzi emerge sopra di loro.
Canzoni ispirate, intime e allo stesso tempo energiche, un album che non si finisce mai di ascoltare.
Daniela Pezzoni
da Daniela Pezzoni | 13 Feb 2019 | sCAT Dischi & Cd
da Daniela Pezzoni | 3 Dic 2018 | sCAT Dischi & Cd
Diari aperti è il decimo album in studio di Elisa, un disco tutto in italiano con dei testi emozionanti che sembrano pagine di un diario.Nell’ultima pagina un affresco meraviglioso e pieno di poesia condiviso con Francesco De Gregori: “Quelli che restano” Racconta di se, dei suoi punti di forza ma anche di fragilità.Un bel disco.
da Daniela Pezzoni | 29 Ago 2018 | sCAT Dischi & Cd
The National Reserve, un quintetto di giovani musicisti di Brooklyn guidati dal cantante, chitarrista ed autore principale Sean Walsh , Jon Ladeau alle chitarre, Matthew Stoulil al basso, Steve Okonski alle tastiere e Brian Geltner alla batteria , una gavetta alle spalle essendosi formati nel 2009 con grande esperienza on the road , hanno dato alle stampe appena un paio di EP ed un album, Homesick, autodistribuito ed introvabile. Motel La Grange si può dunque considerare a tutti gli effetti il vero debutto per Walsh e compagni. Puro rock’n’roll senza fronzoli, rock, country e southern music, con tante chitarre, un songwriting di buon livello.
da Daniela Pezzoni | 12 Feb 2018 | sCAT Dischi & Cd
Un album liricamente complesso dalla musicalità semplice e legato alle radici ,un album profondo.
I brani sono stati scritti con l’aiuto di alcuni veterani di guerra ed i loro famigliari quindi raccontano drammi, tragedie. Poche persone sono in grado di rendere la tragedia cantando, di dare forza e spessore alle parole, Mary lo fà e bene, L’album è stato prodotto da Neilson Hubbard , tra i musicisti coinvolti abbiamo: il bravo Michele Gazich (violino) Will Kimbrough (voce, chitarra e mandolino), Neilson Hubbard (percussioni), Danny Mitchell (voce, piano, fiati), Kris Donegan (chitarra), Michael Rinne (basso), Beth Nielsen Chapman e Odessa Settles (background vocals).Un album di una grande artista..un album da ascoltare anche perchè l’edizione italiana è corredata della traduzione dei brani.Un album di Mary Gauthier!
da Giacomino Ricci | 4 Dic 2017 | sCAT Dischi & Cd
Potranno fare gli indifferenti fin che vogliono ma i denigratori ad oltranza, il cultori del cantautorato impegnato italiano post sessantottino, gli affamati di canzone sociale ed intimistica, in questo CD vedranno concretizzarsi il peggiore dei loro incubi: Jovanotti è diventato grande.
Diventare grandi spesso significa dover costruire torri di compromessi ed in questo lavoro i compromessi non mancano, a cominciare dal brano di apertura, primo singolo, quello che da il titolo all’album, che sembra essere stato scritto a tavolino e confezionato apposta per tranquillizzare i delatori. Ascoltandolo infatti pensi “il solito ragazzone che con quattro rime buoniste spreme il mercato del pop conciliandolo col rap”. L’album, in realtà, è tutta un’altra cosa. Certo, non mancano canzoni più “jovanottiane” infilate qui e là (leggi “In Italia”, “Le canzoni”, “Sbam!”, “Fame”, per certi versi anche “Viva la libertà”) per accontentare quanti vogliono, pregiudizialmente, il Jovanotti di una volta, quello che nei concerti “tutto salta” e fa ballare.
Ma il reale cuore dell’album è da cercare altrove e si badi bene: non nelle ballate ruffiane che negli anni scorsi hanno fatto da punta di diamante della produzione di Lorenzo. Anche qui il tentativo di infilarne qualcuna c’è (“Chiaro di luna”, “Paura di niente”), ma resta meno ispirato che in passato.
Dov’è allora che Jovanotti è diventato Lorenzo? In una serie d’altri pezzi infilati con estrema disinvoltura qui e là, quasi per caso, ma assolutamente spiazzanti. “Affermativo” fosse stata in un disco di Fabrizio De Andrè avrebbe fatto gridare al miracolo. La jazzata “Amoremio”, buttata lì come brano cuscinetto, è in realtà la naturale evoluzione del cantautorato romantico anni ’60. Ed ancora “Quello che intendevi”, in cui il rap si fa recitativo, che con la sua carrellata di ritratti umani porta alla mente alcune suggestioni pasoliniane che ritroviamo in “Ragazzini per strada”. Notevole “Navigare” nella cui struttura melodica riecheggiano le atmosfere di ispirazione francese che tanto influirono sulla musica colta italiana del recente passato, e qui i riferimenti, oltre a De Andrè, si fanno Endrigo, Paoli, Tenco. Echi che, cambiando i le fonti di ispirazione e facendole decisamente più “americane” tornano in “Sbagliato”.
Assolutamente sapore di già sentito, di lezione già insegnata, per certi versi, diranno i cattivi, di copiato. Ma è un copiato fatto alla grande, un compito in classe da voto molto alto, perché alla conoscenza si vede accostata una competenza che è assolutamente personale. I temi dei testi infatti sono assolutamente attuali, sociali, politici (nel senso originario del termine), affrontati non per partito preso, o per amor di moda, ma attraverso una sensibilità personale e matura, che guarda, nell’evento, alla persona.
Insomma: il Jovanotto è diventato un uomo.
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