Deve essere dura arrivare alla sua età dopo una vita di grandi successi e dover vivere di ricordi.

Passando alla gara, per la categoria nuove proposte si confermano le osservazioni di ieri: orizzonti desolantemente poveri e “vecchi”, dal rap ottimistico di Mudimbi, che dalla sua ha il precedente di Caparezza (che all’Ariston si faceva chiamare Mikimix), a quelli che cantano alla vecchia illudendosi che presentarsi trapuntati di piercing e tatuaggi basti per fare giovane. La selezione di giovedì è meno infelice di quella della serata precedente ma nel complesso vien voglia di chiedersi, visto che nessuno sembra realmente credere in questa sezione, se valga davvero la pena continuare ad investirci o possa essere immaginata una rilettura completa della formula, magari andando a pescare i concorrenti tra le classifiche indie dell’anno precedente.

Sul fronte big si parte con Caccamo (Che barba! Non solo una valutazione tricologica). Passare dalla scimmia nuda alla vecchia che balla è coerenza, ma se Lo Stato Sociale sfonda i discografici dovrebbero rassegnarsi all’idea che la formula Eurovision Song Contest (canzonetta più coreografia) è diventata vincente anche in Italia, ergo: aveva ragione la Oxa anni ’80. Il pezzo di Luca Barbarossa è credibile e degno della tradizione cantautorale italiana migliore. L’accoppiata Enzo Avitabile – Peppe Servillo appesantisce inutilmente un brano ripetitivo come quello che portò alla vittoria gli Avion Travel. Inclassificabile, per alterità, Max Gazzé. Niente di nuovo sotto il sole per Roby Facchinetti e Riccardo Fogli. “Non mi hai fatto niente faccia da serpente non mi hai fatto male faccia da maiale…” è questo il plagio di Ermal Meta e Fabrizio Moro? Noemi doveva proprio ricorrere agli affondi per farsi notare? Più che un’entrata in scena la sua sembrava un’incursione delle Femen. Come per Annalisa The Kolors non è il nostro genere, ma hanno fatto i compiti con impegno. Come non sostenere la proposta feconda di Mario Biondi in un’Italia che si spopola? E poi dirige Vessicchio!