Sarà il Nuovo Cinema Teatro Giardino di Breno ad ospitare, il prossimo 16 maggio alle ore 20:30, l’unica data in tutta la Provincia di Brescia di ‘Salvimaio’, il nuovo spettacolo teatrale (tratto dall’omonimo libro, edito da Paper First) scritto e portato in scena da Andrea Scanzi (qui il link per la prevendita dei biglietti, acquistabili anche presso il Teatro stesso).

 

Il giornalista toscano, già firma de Il Manifesto, La Stampa, L’Espresso ed oggi de Il Fatto Quotidiano, torna a portare la politica a teatro, con uno spettacolo che, proprio come fece con ‘Renzusconi’, vuole analizzare l’attualità del nostro Paese facendo del palcoscenico teatrale uno spazio di riflessione dei nostri tempi e dei personaggi della politica italiana. Non una lezione, ma un concentrato di ironia, di stupore ed anche –a volte- di rabbia, in un percorso che condurrà lo spettatore verso una sensazione di smarrimento a cui Scanzi cerca un antidoto proponendo uno spettacolo che punta a ritrovare quel senso di appartenenza che gli italiani stanno perdendo.

Innanzitutto, che cosa si deve aspettare il pubblico che il 16 maggio verrà a Breno per assistere al suo spettacolo?

Si deve aspettare uno spettacolo di informazione e di satira. Saranno 90 minuti durante cui ci sarò soltanto io, ma anche un maxischermo con dei filmati e qualche canzone. Racconterò quello che è successo negli ultimi mesi, dal 4 marzo 2018 ad oggi. Credo che gli spettatori di Breno rideranno, si commuoveranno ed un po’ si arrabbieranno. Ma d’altra parte la politica è questo.

Salvimaio è uno spettacolo che segue l’evoluzione dell’attualità politica, per cui ogni data è diversa dall’altra. Da quando ha iniziato a portare in tour lo spettacolo, ci sono dei temi che variano ed altri che restano invece saldi e da cui non può svincolarsi nel suo racconto?

Entrambe le cose. Lo spettacolo di Breno non potrà essere uguale a quello che ho fatto a settembre, all’esordio. La fortuna del teatro è che si può evolvere di giorno in giorno, ed è stimolante. Ogni data è diversa dalla precedente e dalla successiva. Per fare un esempio: quando adesso racconto la crisi del Partito Democratico, lo faccio in modo diverso rispetto a prima, perché oggi c’è un nuovo segretario. Questa è una cosa che nei libri non puoi fare: il mio libro nuovo, La politica è una cosa seria (edito da Rizzoli), è invece più una fotografia che rimane così. Al tempo stesso, alcuni temi restano, come la crescita del Movimento 5 Stelle o di Matteo Salvini, le gaffe di Toninelli, il ruolo delle opposizioni, di Mattarella… Una parte restano tali, altre, invece, sono una sorta di canovaccio.

Un cantiere aperto…

Sì, come il teatro in alcuni suoi casi. Fenomeni come Gaber e Dario Fo nei loro spettacolo avevano elementi che non cambiavano ed altri che aggiustavano.

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Cosa spera di lasciare al pubblico, uno volta uscito dal teatro?

L’obiettivo è quello che mi ha insegnato Gaber: riattivare le coscienze e rimettere in moto il cervello degli spettatori. Gaber diceva che non gli importava l’applauso, ma che alla fine lo spettatore avesse più voglia di riflettere. Io, nel mio piccolo, vorrei ottenere la stessa cosa, che il pubblico possa essere o no d’accordo, ma avere degli spunti su cui riflettere.

Lei ha detto che Salvimaio amplifica l’incapacità di appartenere che caratterizza l’italiano di oggi: il teatro può servire secondo lei a trovare un senso di appartenenza ed a fare comunità?

Senza alcun dubbio sì. E’ uno dei motivi per cui faccio teatro, anche se a volte è faticoso, a volte i teatri sono pieni, altri un po’ meno… Però il teatro è una maniera straordinaria di creare appartenenza, una comunità e fare in modo che le persone si sentano meno sole, e magari riescano a dire Noi invece che Io. Una cosa che la politica fa sempre di meno. Ho notato che Salvimaio attira tutti coloro che si sentono soli, per avere un quadro diverso della situazione, ma anche per sentire una persona che ha le loro stesse perplessità, ma che ha anche qualche speranza. E quando escono dal teatro, se lo spettacolo è uscito bene, si sentono un po’ meglio. Il teatro ha questa magia: è difficile spiegarlo alle nuove generazioni, convinte che basti andare su Youtube per capire le cose. Il teatro, invece, richiede impegno. Ma se superi quella pigrizia iniziale, scopri un mondo straordinario.

Lei si è già occupato di politica a teatro con Renzusconi. Portare la politica a teatro può considerarsi una risposta alternativa, un antidoto, ai talk show televisivi, dove ormai in buona parte di essi il confronto lascia spazio allo scontro?

E’ un’ottima riflessione, mi ricorda quello che mi disse Marco Travaglio, direttore del Fatto Quotidiano oltre che essere un amico. Quando parlavamo di fare teatro, io gli dissi che mi piace farlo perché mi piace il contatto diretto. E lui, in maniera più cinica e smaliziata, mi rispose che anche a lui piaceva il contatto, ma che lo faceva soprattutto perché poteva dire cose che in televisione non poteva dire e soprattutto poteva dirle con calma. Adesso la penso come lui: il teatro ti dà la possibilità di raccontare le cose con quella calma che purtroppo alcuni talk show non danno. Frequento i talk show e non li demonizzo: se riempio i teatri e vendo i libri è anche merito della televisione e lo so, però alcuni sono improponibili, in altri ci vado. Ma in teatro posso raccontare per 90 minuti una storia che sicuramente in televisione non potrei fare.

Con Salvimaio sta girando l’Italia ed immagino abbia anche l’occasione di incontrare gli spettatori che vengono a vedere il suo spettacolo: si è fatto un’idea di ciò che gli italiani oggi chiedono da una parte alla politica e dall’altra al giornalismo?

Un’idea me la sono fatta già con Renzusconi un anno fa ed anche adesso con Salvimaio. A fine spettacolo cerco –come dovrebbe fare qualsiasi teatrante- di incontrare più persone possibili. Alla politica chiedono di non essere delusi nuovamente, e tanti spettatori mi dicono di aver paura di essere stati delusi, magari dalla sinistra, o dal Movimento 5 Stelle. La stessa paura ce l’hanno anche nei confronti dei giornalisti, che hanno elevato a punti di riferimento. A loro chiedono di non essere più delusi e di essere con la schiena dritta, intellettualmente onesti. Il che non vuol dire di avere sempre ragione: io sono consapevole di sbagliare, a volte. Però mi chiedono l’onestà intellettuale, cioè che io quando dico una cosa la pensi veramente, senza ricevere ordini dall’alto. Questo chiedono al giornalismo, e secondo me la categoria non sempre ha avuto questi requisiti.

E questo, secondo lei, è un problema legato al periodo che stiamo vivendo?

No, io a maggio compio 45 anni e questo problema lo vedo da sempre, dalla fine della Prima Repubblica, l’ho visto in maniera spaventosa quando c’era Berlusconi, anche quando c’era Renzi, ed adesso c’è il tifo tra coloro che destano a prescindere questo Governo e quelli che a prescindere lo difendono. E’ un problema che arriva da lontano ed è uno dei motivi per cui anche la politica si è svilita: se il giornalismo non fa il cane da guardia della democrazia, della Costituzione e delle regole civili è chiaro che frana tutto, quindi abbiamo una grossa responsabilità.

La data di Breno è l’unica data bresciana del suo spettacolo. Come saprà la Provincia di Brescia a maggio andrà al voto non solo per le Europee, anche per le amministrative: sono 147 i Comuni bresciani che dovranno scegliere i nuovi sindaci, in Vallecamonica saranno più di 30. La politica della provincia, quella lontana dalle grandi città, secondo lei, ha ancora influenza sui partiti nazionali ed i suoi leader?

L’influenza è fondamentale. Se la Lega ha il successo che ha è perché soprattutto al Nord ci sono tanti cittadini che ritengono che le Giunte a maggioranza e trazione leghista stiano lavorando bene. Al tempo stesso, credo che se il Partito Democratico sia entrato in crisi ed abbia perso Regioni un tempo rosse come la Toscana o l’Emilia Romagna significa che quei cittadini non ritenevano più brave le giunte a maggioranza centrosinistra. Gaber avrebbe detto che la politica è partecipazione, ma la politica è anche e soprattutto sporcarsi e mani e governare, non soltanto proclamare o dire. La capacità di governare si vede anzitutto nelle realtà piccole, dove non si vota neanche il simbolo, ma la persona o il gruppo che si crede siano degni di governare la realtà in cui si vive. Mi verrebbe quasi da dire che è più importante la realtà locale che quella politica, che non è altro che una slavina di quello che capita a livello locale. Per quanto riguarda la Provincia di Brescia, sono molto contento di fare uno spettacolo in provincia, perché non mi era mai successo. Ogni volta che sono venuto a Brescia ho avuto successo, ma per fare altre cose, sempre con Gianluca Serioli, che ha organizzato anche la data di Breno. Aveva provato di portare anche Renzusconi nel Bresciano, ma non ci era riuscito. Ci riusciamo con la data del 16 maggio: speriamo che sia una bella data, anche perché sarà la penultima del tour e vorrei chiudere in bellezza.</p>”</p>”</p>”